Editoriale della settimana
di Enzo Cattaruzzi
Friuli Doc 2025 si conferma, ancora una volta, come il grande palcoscenico delle eccellenze friulane: quattro giorni di sapori, musica, cultura e inclusione che trasformano Udine in un laboratorio a cielo aperto.
Ma una volta spenti i riflettori, cosa resta? E soprattutto, cosa fare dopo?
La manifestazione è molto più di una festa: è un termometro sociale, un’occasione per misurare il polso del territorio. L’area inclusiva, i concerti, le degustazioni senza barriere alimentari, le tante collaborazioni e le associazioni locali raccontano di un Friuli che vuole essere accogliente, sostenibile e moderno. Ma serve continuità.
Il “dopo Friuli Doc” dovrebbe essere un tempo di progettazione. Le energie messe in campo non possono disperdersi: vanno canalizzate in politiche territoriali che valorizzino le filiere agroalimentari, il turismo lento, la cultura identitaria e l’innovazione sociale. Perché il successo di Friuli Doc non si misura solo in presenze, ma in semi piantati per il futuro.
Serve un tavolo permanente tra istituzioni, imprese, associazioni e cittadini per trasformare l’evento in un motore di sviluppo. E magari, pensare a un “Friuli Doc diffuso”, che durante l’anno porti le sue suggestioni nei borghi, nelle scuole, nei mercati contadini.
Friuli Doc è il racconto di ciò che siamo. Il dopo, deve essere il progetto di ciò che vogliamo diventare.

